La Fantasia brillante per due flauti con accompagnamento di pianoforte sull’opera “Maria Padilla” op. 36 di Francesco Pizzi (1808 - 1871), fu stampata nell’Ottocento dall’editore Giovanni Canti di Milano. La composizione di taglio virtuosistico si basa su alcuni temi di una famosa opera di Gaetano Donizetti.
La Maria Padilla, opera seria in tre atti su libretto elaborato da Gaetano Rossi e dallo stesso Donizetti, ebbe il suo battesimo il 1° dicembre 1846 al teatro alla Scala; successivamente, nella primavera del 1842, la prima versione fu epurata della conclusione drammatica in cui la protagonista Maria “muore di gioia” a favore di una soluzione a lieto fine. In quest’ultima versione che divenne subito definitiva, l’opera fu ripresa con successo dai maggiori teatri italiani almeno fino all’unità d’Italia.
Riguardo alla data di composizione della Fantasia, anche se la stampa da noi utilizzata indica Pizzi come «professore nell’I.R. Conservatorio di Milano» e non può risalire quindi agli anni precedenti al 1856, data in cui il flautista assunse questo incarico, non si può escludere un’edizione precedente più vicina alla prima rappresentazione dell’opera.
Il genere delle composizioni strumentali basate su famose melodie d’opera e il relativo filone editoriale sono in stretto rapporto di dipendenza dal teatro musicale da cui traggono vita. L’esistenza stessa e la fortuna di questi brani è legata al successo e al permanere in repertorio delle opere a cui si riferiscono.
La cospicua produzione di questo genere strumentale parassitario dell’opera, destinato in gran parte a un pubblico di dilettanti, continua ad alimentare con dovizia di pubblicazioni il mercato editoriale fino agli inizi del Novecento.
Il fenomeno testimonia di quanto la musica d’opera avesse esteso la sua presenza oltre gli spazi teatrali. Il repertorio operistico, rielaborato in parafrasi, fantasie o variazioni, circolava in ambito concertistico attraverso composizioni centrate sull’esibizione solistica strumentale. Luogo di fruizione privilegiato di questo genere erano le «accademie strumentali» organizzate nei teatri dagli stessi impresari, ma soprattutto le case e i salotti aristocratici e borghesi.
Il melodramma trovava così una sua diffusione anche in ambiente borghese, raggiungendo un pubblico che seppure non escluso a priori dal teatro non aveva con esso un rapporto frequente e regolare.
(Renata Cataldi)